Un giorno a Wimbledon, il racconto di un’esperienza che non si può raccontare

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Da Wimbledon, Fabrizio Salvi

 

Accedere ai Championships è un sogno e un’esperienza che chiunque dovrebbe potersi concedere almeno una volta nella vita. Nonostante la spinta della volontà e l’ardore della passione, non è così semplice. Coda, ballottaggio o Ticketmaster che sia, alla fine ritrovarsi all’interno del gate con di fronte la statua di Fred Perry rende già abbastanza chiaramente in che razza di posto siamo capitati. Non un torneo di tennis, ma il torneo di tennis. Quello che impressiona è la quantità delle persone che ti circondano, ognuna attratta da un qualcosa di diverso, ma tutte accomunate dagli stessi occhi adoranti. Un occhio all’esterno del Centre Court, un occhio all’Order of Play, uno acquisto allo shop ufficiale e non si sa mai che, come accaduto, ti ritrovi Goran Ivanisevic uscire dall’ufficio del ritiro biglietti sorridente e tiratissimo – qualcuno asserisce che così in forma due o tre turni li passerebbe anche oggi – intento a soddisfare le richieste di selfie.

 

Una volta tirate giù le catenelle tenute accuratamente dagli inservienti, anch’essi elegantissimi, alle 10,30 circa inizia il vostro ingresso nel Tempio di questo sport. Un fiume di persone si sparpaglia nei campi adiacenti al Centrale per prendere i posti, non moltissimi per la verità, disponibili e godersi una vista unica sui giocatori. Tre, quattro metri di distanza che nessuno si sognerebbe di violare. La camminata è speciale, mistica e francamente diversa rispetto a tutte le altre volte che uno cerca di orientarsi in un nuovo ambiente. La Henman Hill sta facendo le prove di pienone, con i primi che stendono accuratamente il proprio telo e cercano il posto migliore di fronte al maxischermo, naturalmente con una birra in mano e le fragole con panna (liquida) nell’altra. I grandi classici vanno rispettati. Altri ci passano per andare a curiosare nella terrazza che da sul campo 18, quello leggendario, altri invece solo per vedere con i propri occhi la fila per il Resale, quella che man mano si forma per potersi accaparrare i biglietti rimessi in vendita a prezzi stracciati. I proventi vanno interamente in beneficenza. Dopo aver spizzicato qua e la partite, tennis, slice e serve&volley, si è fatta l’una ed è già ora di muoversi in direzione del Centre Court. Vi catturerà l’attenzione la zona dedicata alla stampa, popolata ovviamente da giornalisti e addetti ai lavori, ma anche dai giocatori e da splendide compagne dei suddetti tali. Il cammino continua andando verso il campo 12 e i campi periferici, che permettono anch’essi di poter stare ad un metro dai giocatori.

 

Il punto focale della nostra visita è innegabilmente l’accesso al Centrale. Il dilemma se aspettare l’ingresso di Sir Andy Murray o debuttare in un meno evocativo Johanna Konta / Donna Vekic, viene rotto giusto nel tempo di realizzare che avevamo a che fare con un gran match, bello combattuto e tirato. Biglietto alla mano e groppo in gola leggiamo di nuovo quello che riporta il nostro biglietto:

 

“Centre Court – East Open Stand – Gangway 111 – Row C – Seat 003”.

 

Fila C significa essere a non più di due metri dal campo, rialzati di cinquanta centimetri da terra e molto di più nell’animo. Le sensazioni e le impressioni sono del tutto personali, ma quello che colpisce è sicuramente la larghezza degli out e maestosità dell’impianto. Non grandissimo come appare dalla tv, ma davvero imponente per peso specifico della storia. Hai subito l’impressione di sentirti molto piccolo. Tra moscerini, grande caldo e un C’mon e l’altro di Andy Murray, nel frattempo sceso in campo e vittorioso su Dustin Brown, arriva anche il momento del due volte campione del torneo, Rafa Nadal. Liberatosi facilmente del suo alter-ego depotenziato Donald Young, il programma si avvia alla conclusione ed è momento di indirizzarsi verso l’uscita. Ancora in tempo di qualche “Thank you” condito da un sorriso gentile degli inservienti, esausti ma orgogliosi di aver reso il loro servizio, e poi in fila per un taxi con direzione albergo, percorrendo la Church Road per quella che è stata la prima e, forse, ultima volta. Ci rimettiamo alla benevolenza del leggendario ballot.