Challenger Bergamo 2023: Il cuore infinito di Fabio Fognini

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by Antonio Milesi

È quasi impossibile quantificare il numero totale di match professionistici giocati da Fabio Fognini. Il sito-cult Tennis Abstract ne archivia 1.083, ma non tiene conto di diversi incontri di qualificazione (per esempio, manca il successo su Djokovic a Roma 2006). Sono comunque moltissimi, un’infinità. Eppure il ligure è ancora capace di emozionarsi – ed emozionare – per il secondo turno di un ATP Challenger, categoria abbandonata per un paio di lustri e oggi frequentata per guadagnarsi un ultimo giro nel tennis che conta. Se lo spirito sarà quello mostrato contro Hugo Grenier al Trofeo FAIP-Perrel presented by Intesa Sanpaolo, c’è da credere che ce la possa fare. Fognini voleva a tutti costi questa vittoria. L’ha bramata, l’ha accarezzata e alla fine se l’è presa dopo quasi tre ore di battaglia contro un avversario in giornata di grazia al servizio. Ci ha messo il cuore, ma anche tanta qualità in un terzo set in cui si è visto il miglior tennis di questa edizione. Dopo aver vissuto pericolosamente l’intero parziale (quattro palle break cancellate: una sull’1-1, due sul 2-2, l’ultima sul 4-4) ha trovato la zampata vincente nel tie-break decisivo, infilando un passante vincente sul 5-4, prendendosi l’unico minibreak. Uno smash vincente sigillava il 6-7 6-2 7-6 che lo porta nei quarti. Per tornare tra top-100 ci vuole di più, ma il giovedì pomeriggio dell’Italcementi ha lanciato un messaggio forte e chiaro: Fognini ci crede ancora. Ci crede moltissimo.

L’ABBRACCIO DI FEDERICO

Lo ha dimostrato in un match durissimo, sfiancante, contro un avversario che vale di più della 183esima posizione, e che ha tenuto duro fino all’ultimo punto. Un successo che vale ben più di 16 punti ATP. Un successo che racconta le intenzioni di Fognini, ben deciso a ribellarsi a chi lo ritiene un ferrovecchio, un campione da declinare al passato. Perso il primo set al tie-break, ha avuto il merito di non disunirsi e restare aggrappato alla partita. Nel secondo, ha approfittato di un momento di nervosismo di Grenier, furibondo per un walkie talkie caduto durante il punto che ha dato a Fognini il 4-2. L’ha poi preso e scaraventato via, attirandosi le antipatie del pubblico. Perso il parziale, ha però ripreso a servire benissimo e – forse – è stato il giocatore migliore nel terzo, sia pur cancellando tre palle break sul 3-2 Fognini. Il set si è poi spinto al tie-break, tra scambi mozzafiato e un coinvolgimento sempre maggiore del pubblico. A spezzare l’equilibrio è arrivato il punto spacca-partita di Fognini: è riuscito a rispondere a un servizio bomba del suo avversario, è stato attaccato ma l’ha infilato con un passante millimetrico. Il resto è gioia, sollievo, delirio degli appassionati mentre le casse dell’Italcementi passavano Thunderstruck degli AC/DC e il piccolo Federico correva ad abbracciare il suo papà, ancora esausto sulla panchina. Proprio per questo, ha dato forfait dal doppio in coppia con Flavio Cobolli per essere pronto in vista dei quarti di finale. A 36 anni, è necessario fare anche questi ragionamenti.

IL MOTORE ITALIANO DI NAKASHIMA

Per arrivare alla Final Four bergamasca, Fognini dovrà firmare una mezza impresa contro Brandon Nakashima. In precedenza, l’americano di origine asiatica (la madre è vietnamica e il padre è di origine giapponese) aveva dato una prova di forza contro Liam Broady (n.3 del seeding). Un 6-4 6-0 senza storia, minaccioso (per gli avversari) ed esaltante per la strana coppia di coach al seguito: da qualche settimana, all’argentino Mariano Puerta si è affiancato Davide Sanguinetti, sempre più una sorta di Indiana Jones degli allenatori.Avevamo preparato molto bene questa partita – dice Sanguinetti – impostando il match sul dritto dell’avversario. All’inizio Broady ci ha sorpreso con alcuni colpi vincenti, ma Brandon è stato bravo a tenergli testa e a fare tutto quello che gli avevamo detto”. Vedendo giocare Nakashima, ci si domanda come abbia fatto a precipitare al numero 152 ATP dopo essere salito in 43esima posizione, a maggior ragione dopo la “benedizione” del successo alle Next Gen Finals: tutti i vincitori del Masters Under 21, prima di lui, hanno raggiunto (almeno) una semifinale Slam. “Mi hanno cercato per unirmi al team e dare una mano – racconta Sanguinetti – quando sono arrivato, ho trovato un giocatore un po’ sfiduciato, senza motivazioni. Va detto che a inizio anno ha avuto qualche problema fisico: forse non si è curato bene e se l’è portato dietro per tutto l’anno. Ha continuato a giocare, a rincorrere i punti, e questo lo ha destabilizzato”.

L’EREDITÀ DELLE NEXT GEN FINALS

Nakashima era già seguito da Mariano Puerta: l’argentino, ex finalista del Roland Garros, si è spostato in California. “Per me è soltanto la terza settimana, per adesso ce lo dividiamo e stiamo ancora ragionando sul da farsi. Posso dire che c’è tanto lavoro da fare” dice Sanguinetti. Visto il suo background (ormai fa il coach da oltre dieci anni, con buoni risultati), ci si domanda come mai non abbia mai allenato tennisti italiani. “Perchè non me l’hanno mai chiesto – dice con un sorriso – il motivo non lo so, per adesso non è mai successo. Io posso dire che mi piacerebbe avviare un progetto con un giovane italiano. Però adesso sono concentrato su questo, magari tra qualche anno vedremo cosa succederà”. L’ultima volta che Sanguinetti aveva fatto parlare di sé risale a qualche mese fa, quando era al fianco di Shintaro Mochizuki, giapponese in grande ascesa, autore di uno spettacolare torneo a Tokyo. “La collaborazione con lui è terminata, ma credo di aver fatto un gran lavoro, soprattutto sul piano mentale. L’ho conosciuto quando era ancora un junior e l’ho portato nel professionismo. Adesso sta dimostrando tutto il suo valore”. Dopo Vince Spadea, Go Soeda, Ryan Harrison, i doppisti Michael Venus e John Peers, Di Wu e un passaggio nel circuito WTA con Dinara Safina, Sanguinetti sente che Nakashima potrebbe essere la scommessa giusta per fare qualcosa di grande. D’altra parte, le Next Gen Finals non hanno mai sbagliato…